Appena rientrata da un ritiro di natale organizzato dalle clarisse di Firenze, che mi ha riempito il cuore e dato tanto materiale su cui riflettere! Abbiamo meditato su due personaggi del presepe: i pastori e Erode!
L’atteggiamento che hanno di fronte alla venuta del bambinello può farci smascherare dei meccanismi che ci abitano e che hanno il potenziale di toglierci la gioia. Andiamo subito ad analizzarli!
I pastori, poveri e disgraziati, vivono la loro vita a cercare di procurarsi da vivere, fanno la guardia al gregge al freddo e al gelo, e sanno di non poter cambiare la loro condizione, hanno sempre chiara davanti agli occhi la loro povertà e il loro limite insomma. Fanno tutte queste cose, come anche le piccole cose quotidiane: avere la propria famiglia, mangiare, dormire, cercando e aspettando un senso. Sapendo allora di non avere nulla da perdere accolgono subito l’invito dell’angelo che li porta nella mangiatoia.
Questo atteggiamento fa arrivare nella loro vita la salvezza!
Erode invece, vuole uccidere il bambinello, è così spaventato di perdere il suo ruolo e quella sicurezza che ha di poter decidere della sua vita in autonomia e di governare sulle situazioni che gli si pongono davanti che deve eliminare l’ostacolo a tutto questo!
Arriva ad uccidere tutti i bambini e anche i suoi fratelli! La salvezza non entra nella sua vita purtroppo perchè non incontrerà mai Gesù!
Ci viene spontaneo immedesimarci nei dolci pastorelli vero? Ma quante volte siamo Erode?
Vi è mai capitato di eliminare a priori una certa situazione o possibilità per la vostra vita pur di non ammettere la vostra fragilità? A me è capitato quando continuavo a rimanere con un ragazzo nonostante avessi un grosso travaglio interiore, perchè lasciarlo avrebbe significato ammettere di non essere pronta ancora ad amare. Fa male vedersi fragili, ancora ammaccati, ancora malati, impreparati, difettosi, bisognosi insomma!
Non vedere il nostro bisogno ci uccide, evitare di vedere che dipendiamo dagli altri, che per essere felici abbiamo bisogno di ricevere da qualcuno delle cose che a noi mancano non è semplice. Io non riuscivo ad accogliere i consigli di chi mi diceva di chiudere quella storia perchè non ero pronta.
Vi lascio immaginare la sofferenza che ne è derivata da questa mia superbia. Allora abbiamo bisogno di Dio, ma Dio è nelle persone ed è una grande scoperta fare esperienza di affidare la nostra vita in mani ugualmente fragili ma che per un mistero grande sono in grado di salvarci!
Lo sto sperimentando in questa storia d’amore meravigliosa che Dio mi sta donando. Quando mi apro a farmi vedere debole, scopro che l’altro nella sua stessa fragilità ha avuto da Dio come equipaggiamento esattamente quella capacità di comprendermi e di accogliermi che alla fine mi salva.
In fondo ciò che ci salva è l’amore, è uscire da noi, è smettere di guardarci l’ombelico, perchè fuori da noi c’è un altro e un alto che è capace di riempirci di senso.
E la prova di tutto questo è guardare a Gesù inchiodato sulla croce ma anche piccolo come un neonato totalmente dipendente da Maria e Giuseppe, più debole che mai, che ci dimostra che la nostra debolezza, i nostri limiti fisici e mentali, non sono un reale problema, non possono precluderci di essere felici, di salvarci. Dopo la croce c’è la resurrezione, dopo la nascita c’è la relazione. Senza Dio che entra nella nostra vita attraverso i fratelli nei quali lui abita non c’è salvezza.
Ci vuole un pizzico di coraggio a credere in tutto questo ma ciò rende la vita un’avventura meravigliosa!
Guardando Gesù così piccolo e debole in questo Natale spero che come lui recuperiamo il coraggio di chiedere aiuto, di aprirci e affidarci senza timore perchè figli di un Dio che ha fatto del fallimento la via di salvezza!
Buona attesa